“La perdita della vita, anche di una sola vita umana all’interno del carcere è un fatto grave, gravissimo, e quotidianamente la Polizia Penitenziaria salva vite umane da suicidi e da atti autolesionisti: ma questi fatti non fanno notizia!” comincia così la lettera che DirPolPen ha inviato alla redazione di Report, in vista del servizio sulle rivolte che è andato in onda ieri sera.
“Fa più notizia – continua il sindacato più rappresentativo dei dirigenti di Polizia Penitenziaria – il suicidio o il racconto di un familiare di un ristretto su presunti abusi, mentre il silenzioso lavoro di osservazione e vigilanza finalizzato al trattamento del detenuto da parte del poliziotto penitenziario è assolutamente ignorato.
Peraltro, i presunti abusi da parte di poliziotti trovano vasta eco in telegiornali, carta stampata e programmi di approfondimento, mentre le giornaliere aggressioni subite dal personale penitenziario, che solo nel 2020 sono state circa 800, sono totalmente taciute”.
Il servizio, andato in onda lunedì sera su Rai 3, ha posto l’accento sulle presunte violenze e pestaggi che sarebbero seguite alle rivolte di marzo.
“Chi sbaglia è giusto che paghi – scrive DirPolPen – e la magistratura deve accertare i fatti in maniera terza e imparziale, ma si deve avere il coraggio di valutare le cose come realmente stanno, senza filtri ideologici o letture preconcette.
Un intervento in forze di nuclei di poliziotti non è un atto di violenza premeditato, ma un atto volto a riportare l’ordine e la disciplina, aspetti previsti dall’ordinamento penitenziario, non da un codice militare. Una perquisizione dopo una rivolta, non è un atto di rappresaglia organizzato, ma una modalità operativa di verifica prevista anch’essa dall’ordinamento penitenziario per prevenire ed impedire situazioni pericolose per la sicurezza inframuraria. Il trasferimento in massa dei detenuti non è una punizione vendicativa, ma il metodo più immediato per ristabilire l’ordine e, nel caso delle rivolte di marzo, per ovviare alla totale inagibilità di intere sezioni devastate dalla follia della popolazione ristretta”.
“Se è giusto che si indaghi sui decessi degli sfortunati ristretti che hanno perso la vita nelle rivolte, è altrettanto doveroso trovare le responsabilità di chi ha artatamente creato il caos negli istituti, verificare chi ha sollecitato e fomentato i detenuti e i loro familiari con slogan tutti uguali, trovare chi ha voluto mettere in crisi drammaticamente il sistema per favorire l’uscita dal carcere di detenuti “particolari”: insomma identificare coloro che da dentro il carcere hanno realmente comandato e pilotato le proteste”.
“Ci aspettiamo – chiosa l’associazione dei dirigenti di Polizia Penitenziaria – una lettura imparziale che abbia il coraggio di affermare che le rivolte di marzo hanno messo in luce tutta la fallimentarietà dell’organizzazione carceraria, senza limitarsi a puntare il dito sempre e comunque contro la Polizia Penitenziaria”.
Quel che è certo, sostiene DirPolPen un Corpo ben selezionato, formato, organizzato ed equipaggiato dai propri dirigenti – e non eterodiretto come ora – sarebbe garanzia di assoluto rispetto delle norme, comprese ovviamente quelle a tutela dei diritti dell’utenza.
“E poiché è evidente che la Polizia Penitenziaria è un Corpo comandato da civili privi di qualsiasi formazione di Polizia, non ammettiamo che il Corpo possa essere chiamato in causa solo quando c’è da rispondere della (asserita) violazione di norme” denuncia il Sindacato.
“Da sempre chiediamo le body cam per tutelare il personale dalle ricostruzioni fantasiose di vicende ordinarie: perché una forza di Polizia non ha nulla da nascondere nelle sue quotidiane attività di garanzia della sicurezza” continua l’associazione sindacale. “Se qualcosa sfugge di mano, è frutto di disorganizzazione, inesistenza di protocolli operativi e regole d’ingaggio, equipaggiamenti ed addestramento adeguati per fronteggiare eventi critici singoli o collettivi che riguardano i detenuti. E questo è conseguenza ESCLUSIVAMENTE di una mala gestio da parte di figure esterne alla Polizia Penitenziaria”.
DirPolPen sollecita gli autori di Report ad analizzare attentamente le norme di settore, affinché possano realizzare il “falso ideologico” perpetrato da chi chiama in causa solo i poliziotti penitenziari in occasione delle (asserite) violenze, dimenticando che durante i lavori del riordino la trasformazione della dipendenza gerarchica di poliziotti penitenziari dai direttori del carcere in dipendenza funzionale è stata osteggiata strenuamente da più voci in nome di una garanzia di equilibrio contro le derive securitarie.
“Noi, sommessamente, riteniamo – conclude DirPolPen – che un Corpo ben selezionato, formato, organizzato, governato ed equipaggiato dai propri dirigenti in uniforme sarebbe garanzia di assoluto rispetto delle norme, a tutela dei cittadini (compresi quelli detenuti), delle Istituzioni e, soprattutto, dei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale in ordine alla tendenza rieducativa della pena”.